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Noi supersisti  vi preghiamo:

mostrateci lentamente il vostro sole.

Guidateci piano di stella in stella.

Fateci di nuovo imparare la vita.

Altrimenti il canto di un uccello,

il secchio che si colma alla fontana

potrebbero far prorompere il dolore

a stento sigillato

e farci schiumar via.

Vi preghiamo:

non mostrateci ancora un cane che morde

potrebbe darsi, potrebbe darsi

che ci disfiamo in polvere

davanti ai vostri occhi.

Ma cosa tiene unita la nostra trama?

Noi, ormai senza respiro,

la nostra anima è volata a Lui nella mezzanotte

molto prima che il nostro corpo si salvasse

nell’arca dell’istante.

 

Nelly Sachs, Al di là della polvere

Minori
Bambini

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I volti sporchi, la pelle arrossata, e gli occhi di chi è stato costretto a crescere all'improvviso. Queste immagini raccontano meglio di mille parole il conflitto siriano: i ritratti sono stati scattati da Muhammed Muheisen, reporter di Associted Press, nel campo rifugiati di Mafraq, in Giordania. ''Andavo a scuola ad Hama - spiega Rakan Raslan, di 11 anni - avevo i miei amici lì. La nostra casa è stata distrutta e siamo scappati''. ''Vorrei tornare a casa mia, ma mio padre vuole andare negli Stati Uniti'', dice la piccola Mona Emad, di 5 anni. Secondo l'ultimo rapporto Unicef, diffuso a cinque anni dall'inizio del conflitto, 3,7 milioni di bambini, di cui un milione di siriani, sono nati in guerra. La guerra ha ucciso più di 250mila persone e la metà della popolazione è fuggita dal Paese 16 marzo 2016

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Mi chiamo Adil, Maner, Kalid..

possiedo tutti i nomi della terra

e parlo senza menzogna, rotolando 

le sillabe come l'acqua sotto i boschi.

Sono mussulmano, ebreo, ateo, cristiano..

Sono cio' che sono perche' esisto per amore.

Ho i colori dei fiori del mondo,

ho le mani stanche ed i piedi sotto gli stracci.

Non sono terrorista, neppure

per chi mi vuol male.  Sono uno di voi.

Spavaldamente vostro.

Spazio per essere scoperto,

viso per essere contemplato.

Fermatevi lungo la strada,

guardate, informatevi.

Mi consegno alla vostra curiosita',

alle vostre paure ed a tutto

cio' che resta di pieta',

dal peso delle vostre bilance

truccate.

 ( Andrea Portas,

Dalla parte dei vinti, 2008)

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ERO STRANIERO (P. Alberto Maggi)


Prima noi! È questa la formula magica, il sacro mantra, con il quale si coprono egoismi e si giustificano durezze di cuore. Prima noi! E per prima s’intende che Casa, Lavoro, Assistenza sanitaria, Scuola, tutto quel che permette alla vita di essere degna e piacevole, siano riservati per primo a chi ne ha diritto, ovvero agli italiani (ma questo vale in ogni nazione europea). Prima noi! Poi se ci avanza, si possono dare le briciole a chi ne ha bisogno, ovvero allo straniero che attenta al nostro benessere economico e ai valori civili e religiosi della nostra società.
La tematica non è nuova e il problema antico quanto il mondo, e da sempre ogni popolo ha nutrito diffidenza e ostilità verso lo straniero, al punto che la lingua latina (come molte altre lingue) ha un solo termine per indicare sia lo straniero sia il nemico: “Hostis” (da cui le parole ostile, ostico). Se lo straniero è il nemico, la straniera è la prostituta: nell’AT donna straniera significa dedita alla prostituzione (Pr. 2,16; 5,3.20; 6,24; 23,27).
         Nel mondo primitivo lo straniero era cacciato, come la selvaggina, e l’uccisione era il modo più semplice di liberarsi di questo essere sconosciuto e minaccioso. Poi in una società più evoluta lo straniero non venne più ucciso, ma pur accolto, rimase emarginato, senza alcun diritto.  
         In ogni cultura colui che proviene da fuori, lo straniero, appunto perché tale, incute paura. Lo straniero è un barbaro, colui cioè che emette suoni incomprensibili, il balbuziente (dal sanscrito barbara = balbuziente), colui che parla una lingua incomprensibile ai Greci, e da qui passò a significare il non greco e più generalmente quel che è selvaggio, rozzo, feroce, incivile.
Come noi
Lo straniero è uno che parla una lingua che non essendo la nostra è una non lingua (e si dà per scontato che la nostra sia la lingua ideale), egli vive in una strana maniera, ha degli usi e dei costumi che non sono i nostri, e si dà per scontato che i nostri siano i costumi e i modi di vivere ideali, persino i suoi gusti alimentari non sono uguali ai nostri e addirittura ha un modo di vestire che non corrisponde al nostro, dando per scontato che il nostro sia il modo ideale e la norma per tutto, e la nostra società il modello alla quale tutti devono assoggettarsi.
Lo straniero sconcerta, disorienta, finisce per mettere in crisi le nostre certezze. “Non è come noi…” è la formula con la quale si esclude lo straniero dalla nostra vita…
Sotto la figura dello straniero non va presa solo la persona proveniente da altre nazioni, ma anche quelle persone che tra noi vivono come straniere.
Se diciamo che lo straniero è colui che ha una lingua che non è la nostra, ha una maniera di vestire che non è la nostra, ha un modo di vivere che non è il nostro… ecco che emerge il ritratto dei… figli.
Chi sono i figli? I figli parlano un linguaggio che non è quello dei loro genitori, vivono in un modo che non è quello dei genitori e vestono anche in maniera completamente diversa da quella dei genitori… e pur abitando insieme ai genitori, sono come forestieri (“Questa casa non è un albergo!”, è la comune protesta che in molte famiglie i genitori rivolgono ai figli).
 
UNA PROPOSTA EVANGELICA
         Gesù è nato in una cultura radicalmente razzista, dove Israele si considerava il popolo eletto chiamato a dominare tutte le altre nazioni. Nonostante che nella Scrittura si trovino indicazioni che mirano alla protezione dello straniero ("Non maltratterai lo straniero e non l'opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto", Es 22,21), lo straniero andava evitato.
Commentando il Libro del Deuteronomio (19,4), il Talmud precisa che gli stranieri vanno estromessi dal concetto di prossimo (Sifr. Dt. § 181), e gli stranieri verranno esclusi pure dal regno del messia (l’al di là) (“Né ospite, né straniero abiterà più presso loro”, Ps. Sal. 17,28) e nella benedizione che ogni ebreo era tenuto a recitare tre volte il giorno si ringraziava Dio per non essere stato creato pagano (straniero), donna o incolto (T.Ber. 7,18).
La divisione con gli stranieri prosegue anche dopo la morte. Anche la loro sepoltura non può essere con quella degli appartenenti al popolo eletto, ma a parte, in un luogo considerato impuro (“Il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri” Mt 27,7). Per i giudei questa separazione è garantita da Dio pure nell’altro mondo, dove potranno vivere separati dai pagani (Sifr. Dt. § 315a 32,12).
Pertanto, al tempo di Gesù vige una separazione totale tra giudei e stranieri, come riconosce san Pietro: “Voi sapete come non sia lecito a un giudeo di aver relazioni con uno straniero o di entrar in casa sua” (At 10,28).
         In questo contesto stupisce e sconcerta l’affermazione di Gesù che arriva a identificarsi con gli ultimi della società, gli emarginati, i rifiutati: “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35.43). Gesù chiede un cambio di mentalità e far sì che il forestiero da nemico (lat. hostes), si trasformi in ospite (lat. hospes).
E se Gesù proclama benedetti (“Venite benedetti del Padre mio”¸ Mt 25,34) quanti avranno accolto e ospitato lo straniero, dichiara maledetti quelli che non lo fanno: “Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43). È questa l’unica volta in cui nel vangelo di Matteo appare il termine maledetti, ma la maledizione non proviene da Dio, il Padre “benedice”, chi si chiude alla vita si auto-maledice. Questa maledizione richiama quella del primo assassino della Bibbia, il fratricida Caino: “Ora sii maledetto” (Gen 4,11). Negare l’aiuto all’altro è come ucciderlo. Se la risposta alle altrui necessità era un fattore di vita, la mancata risposta è causa di morte.
 
DARE O RICEVERE?
         Gesù non solo si identifica nello straniero, che viene accolto o rifiutato, ma nei vangeli il suo elogio va proprio per i pagani, per gli stranieri.       
         Si pensa sempre cosa e quanto si possa e si debba dare allo straniero e non a quel che si riceve dallo stesso. Lo straniero è sempre visto come il bisognoso.
         Nei vangeli, tutte le figure degli stranieri, eccetto Pilato in quanto incarnazione del potere, sono tutte positive e portatrici di ricchezza.
Questa attenzione verso gli stranieri Gesù l’ha sempre avuta e gli viene in gran parte dalla sua storia personale. Tra le sue antenate vi sono ben quattro donne straniere (Tamar, Cananea, Racab di Gerico, Rut, Moabita, Betsabea, Hittita, Mt 1,3.5), e appena nato è dovuto migrare una prima volta con la famiglia verso una terra straniera, l’Egitto, dove Giuseppe e la sua famiglia trovarono rifugio e accoglienza (Mt 2,13-14), e la seconda volta dalla Giudea la sua famiglia si rifugiò nella lontana e più sicura Galilea, terra di confine con le popolazioni pagane (Mt 2,22). Nei momenti critici Gesù si è rifugiato all’estero, tra i pagani.
I primi stranieri che troviamo nei vangeli sono i magi (Mt 2,1-13), i pagani che annunciano agli ebrei la nascita del loro re, e mentre tutta Gerusalemme è presa dal terrore per quel che perderà, i magi provarono grandissima gioia per quel che doneranno.
Mentre nella sua attività Gesù si troverà di fronte ottusità e incredulità persino da parte della sua famiglia e dei suoi stessi paesani, resterà ammirato dalla fede di uno straniero, il Centurione, e annuncerà che mentre i pagani entreranno nel suo regno, gli israeliti ne resteranno esclusi (“In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti”, Mt 8,5-13; Mt 27,54).
Di fronte al rifiuto dei luoghi che hanno visto la sua predicazione e la sua azione, Gesù elogerà le città straniere, quali Tiro e Sidone (Mt 11,20-24).
Nella sinagoga di Nazaret, il suo paese, Gesù rischierà il linciaggio per aver avuto l’ardire di tirare fuori dal dimenticatoio due storie che gli ebrei preferivano ignorare: Dio in casi di emergenza e di bisogno non fa distinzione tra il popolo eletto e i pagani, ma dirige il suo amore a chi lo necessita. Così nel caso di una grande carestia che colpì tutto il paese, aiutò una straniera, una pagana, una vedova a Sarepta di Sidone (Lc 4,26), e con tutti i lebbrosi che c’erano al tempo del profeta Eliseo, il signore guarì uno straniero:  Naamàn, il Siro (Lc 4,27).
Saranno gli eretici meticci samaritani ad accogliere Gesù e riconoscere in lui l’atteso Messia (“Questi è veramente il salvatore del mondo!”, Gv 4,42 ), samaritani che gli saranno riconoscenti (Lc 17,11-19) e che Gesù porrà come modello di fede (Lc 10,29-37), e non sarà un discepolo né un ebreo a portare la sua croce, ma uno straniero, Simone di Cirene (Mt 27,32).
Ed è singolare che i primi a essere riconosciuti e chiamati cristiani non furono i discepoli di Gerusalemme o della Palestina, ma in terra straniera, uomini provenienti dal mondo pagano: “Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani” (At 11,26).
 
Conclusione
Prima noi?
Terminiamo tornando alla domanda che abbiamo posto all’inizio, prima noi?
Il tema è sviluppato nei vangeli dall’incontro di Gesù con una donna straniera, episodio con il quale Gesù vuole istruire i discepoli, animati da ostilità verso i pagani e dal rifiuto di portare anche agli stranieri la buona notizia del Cristo, fedeli alla tradizione che vedeva nei pagani nemici da liminare, come aveva comandato la Legge di Mosè: “Tu le voterai allo sterminio; non farai con esse alleanza né farai loro grazia” (Dt 7,1-6; 20,16-18).
La donna cananea (fenicia), invoca Gesù perché guarisca la figlia: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio” (Mt 15,22).
La donna vede in Gesù un inviato di Dio (“Signore”) che può soccorrerla, ma, allo stesso tempo, chiamandolo “figlio di Davide”, vede in lui il successore di Davide, il re d’Israele che mediante la violenza aveva costituito il suo regno.
La cananea, riconoscendo in Gesù il “figlio di Davide”, il re dominatore dei pagani si considera inferiore e pertanto esclusa dalla salvezza portata dal Messia.
         Può sconcertare la reazione di Gesù di fronte alla richiesta di aiuto: “non le rivolse neppure una parola” (Mt 15,23), ma poi come risposta al comportamento dei discepoli che vogliono cacciarla via (mandala via!) disse: “Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15,24).
Per la religione giudaica il Messia, nella sua funzione di pastore, si doveva interessare solo del gregge d’Israele (Ez 34,4.6.16). E di fronte all’insistenza della donna Gesù aggiunge: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini” (Mt 15,26).
Termine molto ingiurioso col quale si indicavano i pagani e gli avversari (1Sam 17,43; Sal 22,17.21), trattare qualcuno come un cane significava considerarlo come escluso dal regno di Dio (B.B., B 8a). Nella tradizione biblica “i figli” di Israele sono chiamati a dominare le nazioni pagane, mentre i pagani sono destinati ad essere dominati. Non c'è uguaglianza tra gli appartenenti al popolo eletto e gli esclusi. Gli uni sono figli, e gli altri cani, animali ritenuti impuri e portatori del demonio. Per questo non si può dare il pane a quanti, per la loro condizione di pagani, sono veicolo di impurità e contaminazione. Per la religione giudaica il pane è solo per i figli, in quanto osservano tutti i precetti sulla purità.   
Come mai questa durezza da parte di Gesù che è sempre misericordioso e compassionevole con tutti?
La donna si è rivolta al figlio di Davide e Gesù le risponde come le avrebbe risposto il re Davide, il cui regno era limitato a Israele. Ma Gesù non è il figlio di Davide, bensì il figlio di Dio, il cui regno non ha confini nazionali.
La risposta spietata di Gesù alla richiesta disperata della donna vuole aiutarla a comprendere la disumanità dell'ideologia giudaica che divideva gli uomini tra quelli meritevoli dell'aiuto divino e quelli esclusi. Tale ideologia fomentava la discriminazione razziale e religiosa tra i popoli.
La donna intuisce.
Si rivolge di nuovo a Gesù chiamandolo questa volta solamente “Signore” e non più figlio di Davide. Essa comprende quello che i discepoli fanno fatica a capire e ad accettare, cioè, che la compassione e l'amore vanno al di là delle divisioni razziali, etniche e religiose. Di là dalle rispettive differenze religiose, la donna sostiene che un gesto di umanità non si rifiuta mai ad alcuno. Per questo la donna cananea, nonostante la sua inferiorità, chiede di essere ammessa alla tavola dei figli: “Sì, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro signori” (Mt 15,27).
La reazione di Gesù è di grande ammirazione “Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come vuoi”. (Mt 15,28).
La donna ha compreso la lezione di Gesù: non ci sono dei figli e dei cani, quelli che meritano e gli esclusi, quelli che hanno diritto e quelli no, un prima (noi) e un dopo (gli altri), ma tutti possono cibarsi allo stesso tempo dell’unico pane che alimenta la vita.
 
Rara umanità 
L’esperienza e il messaggio di Gesù verranno poi raccolti dagli altri autori del Nuovo Testamento, in particolare da Paolo che in occasione di un naufragio, si stupirà per la “rara umanità” con cui lui e gli altri naufraghi sono stati ospitati dai barbari di Malta (At 28,2), e arriverà a capire una verità importante: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti” (Col 3,11); “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28).
La Chiesa ha compreso e annuncia che con Gesù non si possono innalzare barriere, ma solo abbattere tutti i muri che gli uomini hanno costruito (“Egli infatti è la nostra pace, colui che dei due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che ci divideva…”, Ef 2,14), non solo i muri esteriori (mattoni), forse i più facili da demolire, ma quelli interiori (pregiudizi), mentali, teologici, morali, religiosi, i più difficili da estirpare perché li crediamo buoni o di provenienza divina.

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Vi fu un tempo in cui il viaggiatore sbattuto dalla sorte,il naufrago appeso ai resti di una imbarcazione, suscitava pietà e curiosità. Faceva parte degli ospiti, che a loro volta erano sacri e protetti dagli dei.

Dice Nausica: "Non esistono genti che arrivino tra noi Feaci con intenzioni ostili. Noi siamo cari agli dei. E viviamo appartati, in un angolo del mare, dove non riceviamo visite" Quando Ulisse incrostato di sale si arena sfinito ai suoi piedi, la figlia del re dei Feaci non gli chiede chi è o da dove venga. Un ospite è prossimo, ha bisogni concreti, così Nausica ordina alle ancelle di offrirgli vesti pulite, di lavarlo nel fiume ed ungergli il corpo con olio.

Il viaggiatore giungeva da lontano, ma poteva trasformarsi in prossimo: un prodigio che non avviene più. Non veniva solo accolto: diventava spesso qualcosa di superiore al cittadino normale. In una società quasi priva di mezzi di comunicazione era messaggero di  un altro mondo e aveva sempre qualcosa da insegnare.

Luigi Zoja : "La morte del prossimo"

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"Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali". Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purchè le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".

Relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912. SIAMO TUTTI CLANDESTINI.

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L'egoismo non nasce soltanto  da un'intenzione di male, può nascere anche dalla paura, la paura della propria esposizione all'incognito, all'imprevisto, la paura anche che l'altro possa usare me a suo vantaggio.

Non voglio distruggere l'altro, è che mi difendo; non sono razzista, è che l'immigrato mi toglie il posto di lavoro (è difficile nelle cosiddette società democratiche trovare dichiarazioni formali di razzismo, sono tutte in termini di compatibilità e di difesa delle proprie posizioni).

La carità nel senso cristiano indica una strada radicale: ama l'altro per se stesso. La radicalità sta precisamente nell'articolare il gesto caritatevole in una dimensione in cui non si guarda alla risposta. Il prossimo da amare non è la generalità degli altri, il prossimo è, in senso etimologico, proprio chi mi sta accanto.

Salvatore Natoli: "Stare al mondo"

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NATALE. di Erri De Luca

Nascerà in una stiva tra viaggiatori clandestini.
Lo scalderà il vapore della sala macchine.
Lo cullerà il rollio del mare di traverso.
Sua madre imbarcata per tentare uno scampo o una
fortuna,
suo padre l’angelo di un’ora,
molte paternità bastano a questo.
In terraferma l’avrebbero deposto
nel cassonetto di nettezza urbana.
Staccheranno coi denti la corda d’ombelico.
Lo getteranno al mare, alla misericordia.

Possiamo dargli solo i mesi di grembo, dicono le madri.
Lo possiamo aspettare, abbracciare no.
Nascere è solo un fiato d’aria guasta. Non c’è mondo
per lui.
Niente della sua vita è una parabola.
Nessun martello di falegname gli batterà le ore dell’infanzia,
poi i chiodi nella carne.
Io non mi chiamo Maria, ma questi figli miei
che non hanno portato manco un vestito e un nome
i marinai li chiamano Gesù.
Perché nascono in viaggio, senza arrivo.

Nasce nelle stive dei clandestini,
resta meno di un’ora di dicembre.
Dura di più il percorso dei Magi e dei contrabbandieri.
Nasce in mezzo a una strage di bambini.
Nasce per tradizione, per necessità,
con la stessa pazienza anniversaria.
Però non sopravvive più, non vuole.
Perché vivere ha già vissuto, e dire ha detto.
Non può togliere o aggiungere una spina ai rovi delle
tempie.
Sta con quelli che vivono il tempo di nascere.
Va con quelli che durano un’ora.

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La parola straniero ha assunto un significato negativo che non gli è proprio. Gesù era un uomo in viaggio, Abramo fu straniero, i figli di Israele furono forestieri in Egitto, Enea scappò dalla guerra e fondò Roma, Ulisse lasciò la patria, assetato di conoscenza. Nel Levitico 19,34 è scritto chiaramente: " Lo straniero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato tra voi. Tu l'amerai come te stesso". Il filosofo  Emmanuel Levinas va oltre e dice: "Ama il prossimo tuo: è te stesso". Ha ragione l'altro è dentro di noi, se lo espelliamo si crea uno squilibrio perchè la nostra individualità non si fortifica, ma si dimezza. Noi non siamo proprietari di niente. "Mia è la terra" dice il Signore " e voi siete presso di me stranieri e ospiti". Vivremo in pace solo quando impareremo ad essere tutti forestieri. Chi la pensa in modo diverso non segue la Bibbia.

Don Andrea Gallo.

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Jahvè  disse a Caino: "Dov'è il tuo fratello Abele ?". Rispode: "Non lo so. Sono forse io il custode del mio fratello ?".  Jahvè disse: "Che hai fatto? Senti il sangue del tuo fratello che grida a me dal suolo! Ora sii maledetto e scacciato dal suolo fertile che ha aperto la bocca per ricevere dalla tua mano il sangue di tuo fratello..."(Genesi  4, 9-11).

 

Non v'è ne ebreo ne greco, ne schiavo ne uomo libero, ne uomo ne donna; perché tutti non fate che uno nel Cristo Gesù (Galati 3, 28).  

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Dime como ser panUnknown Artist
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