Ballata della speranza
Tempo del primo avvento
tempo del secondo avvento
sempre tempo d'avvento:
esistenza, condizione
d'esilio e di rimpianto.
Anche il grano attende
anche l'albero attende
attendono anche le pietre
tutta la creazione attende.
Tempo del concepimento
di un Dio che ha sempre da nascere ….
Questo è il vero lungo inverno del mondo:
Avvento, tempo del desiderio
tempo di nostalgia e ricordi
(paradiso lontano e impossibile!)
Avvento, tempo di solitudine
e tenerezza e speranza.
Oh, se sperassimo tutti insieme
tutti la stessa speranza
e intensamente
oh se sperassimo tutti insieme
con tutte le cose
sperassimo Lui solamente
desiderio dell'intera creazione;
e sperassimo con tutti i disperati
con tutti i carcerati
come i minatori quando escono
dalle viscere della terra,
VIENI VIENI VIENI, Signore
vieni da qualunque parte del cielo
o degli abissi della terra
o dalle profondità di noi stessi
(ciò non importa) ma vieni,
urlassimo solo: VIENI!
Allora Egli non avrà neppure da dire
eccomi, vengo - perché già viene.
E così! Vieni Signore Gesù,
vieni nella nostra notte,
questa altissima notte
la lunga invincibile notte,
e questo silenzio del mondo
dove solo questa parola sia udita;
e neppure un fratello
conosce il volto del fratello
tanta è fitta la tenebra;
ma solo questa voce
quest'unica voce
questa sola voce si oda:
VIENI VIENI VIENI, Signore!
….. quando appunto Egli dirÃ
" ecco, già nuove sono fatte tutte le cose "
allora canteremo
allora ameremo
allora allora...
David Maria Turoldo
Ti invocano i fiumi e non sanno,
ti cercano le radici e non sanno,
ti cantano gli uccelli nel bosco e non sanno,
solo questa coscienza sa che tu sei
e sei fin da principio, e nulla
esiste se tu non sei: noi soli
coscienza di questo splendere di astri:
noi la coscienza di quanto
narrano i cieli e il giorno
tramanda al giorno e la notte alla notte.
(D. M. Turoldo)
INGENUGAU IN SA STOIA
A su scurigadroxu
candu una manta ‘e nebida
aculiat in domu
s’urtimu andaiolu
totu Armungia si imbussat
de soledadi e asseliu nuraxinu.
Ma abellu abellu una boxi si pesat
a carinnyai is umbras de sa noti:
anima circanti unu poeta
ingenugau in sa stoia
intregat a su celu
cantidus de amori
e aspètada,
s’enna scarangiada de su coru e sa menti,
ancora sa bisìta de s’amigu divinu…
E sighit a cantai a scurigau mortu
salmus de disterru
po is fradis istrangius arrefudaus in mari
caus isdalaus in bolidu
speddiendi playas
de bonacatu,
e kyriellas dolorosas
po totu is traballantis sempiri in cumbata
po un arrogu ‘e pani de dinnidadi
infustu in sanguni e sudori,
ahi sanguni nieddu,umbra de fogu
cumpangius de sa Thyssen! Poita Gesumiu!
E intra lampus e tronus
si artziat unu tzerriu chesciosu,
s’antiga pregunta
de Giobbi santu
fertu in sa carri e in s’ossu
e de is giustus
in Auschwitz e Dachau:
Deus donnu, aundi sesi?!?
De su crocifissu parau in sa stoia
ogus akiladoris
alluxentaus de amori poderosu
s’anima dd’infrissint
e una boxi sullena:
seu innoi, ancora innoi
in sa gruxi.
Armando Mura a su vicariu de Armungia
Andrea Portas predi operaiu e poeta
In ginocchio sulla mia stuoia
All’imbrunire
quando una coltre di nebbia
costringe in casa
l’ultimo vagabondo
il paese di Armungia viene avvolto
dal gran silenzio tipico del tempo nuragico.
Piano, si alza una voce
come per carezzare le ombre della notte:
l’anima questuante di un poeta
cercatore di Dio inginocchiato sulla stuoia
consegna al cielo
i suoi canti d’amore
e aspetta,
con la porta del suo cuore appena socchiusa,
la visita dell’Amico…
E continua a cantare a notte fonda
i salmi dell’esilio
per fratelli stranieri buttati in mare
come gabbiani con le ali spezzate in volo
alla ricerca di spiagge
accoglienti
e canta nenie lamentose
per gli operai sempre in lotta
per un pezzo di pane di dignità
bagnato con sangue e sudore
ahi sangue nero, ombre di fuoco
Compagni della Thyssen! Perché Gesù mio!
E tra lampi e tuoni
ora si leva un grido di protesta
è l’antica domanda rivolta a Dio
del santo Giobbe
colpito nella carne e nell’osso,
e dei giusti internati
ad Auschwitz e Dachau:
Signore Dio, dove sei?
Gli occhi di falco del crocifisso deposto sulla stuoia
lucenti di amore profondo,
penetrano l’anima del poeta
e una voce profonda gli risponde:
sono qui, ancora qui
sulla croce.
NAUFRAGHI MAGI
DI DAVID MARIA TUROLDO
Naufraghi sempre in questo infinito,
eppure sempre a tentare, a chiedere,
dietro la stella che appare e dispare,
lungo un cammino che è sempre imprevisto.
Lasciano case e beni e certezze,
gente mai sazia dei loro possessi,
gente più grande, delusa, inquieta:
dalla Scrittura chiamati sapienti!
Le notti che hanno vegliato da soli,
scrutando il corso del tempo insondabile,
seguendo astri, fissando gli abissi
fino a bruciarsi gli occhi del cuore!
Magi, voi siete i santi più nostri,
i pellegrini del cielo, gli eletti,
l’anima eterna dell’uomo che cerca,
cui solo Iddio è luce e mistero.
Qohelet
Godi, o giovane, nella tua giovinezza,
e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù.
Segui pure le vie del tuo cuore
e i desideri dei tuoi occhi.
Sappi però che su tutto questo
Dio ti convocherà in giudizio.
Caccia la malinconia dal tuo cuore,
allontana dal tuo corpo il dolore,
perché la giovinezza e i capelli neri sono un soffio.
Ricòrdati del tuo creatore
nei giorni della tua giovinezza,
prima che vengano i giorni tristi
e giungano gli anni di cui dovrai dire:
«Non ci provo alcun gusto»;
prima che si oscurino il sole,
la luce, la luna e le stelle
e tornino ancora le nubi dopo la pioggia;
quando tremeranno i custodi della casa
e si curveranno i gagliardi
e cesseranno di lavorare le donne che macinano,
perché rimaste poche,
e si offuscheranno quelle che guardano dalle finestre
e si chiuderanno i battenti sulla strada;
quando si abbasserà il rumore della mola
e si attenuerà il cinguettio degli uccelli
e si affievoliranno tutti i toni del canto;
quando si avrà paura delle alture
e terrore si proverà nel cammino;
quando fiorirà il mandorlo
e la locusta si trascinerà a stento
e il cappero non avrà più effetto,
poiché l’uomo se ne va nella dimora eterna
e i piagnoni si aggirano per la strada;
prima che si spezzi il filo d’argento
e la lucerna d’oro s’infranga
e si rompa l’anfora alla fonte
e la carrucola cada nel pozzo,
e ritorni la polvere alla terra, com’era prima,
e il soffio vitale torni a Dio, che lo ha dato.
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
tutto è vanità.