Bisognerebbe prendere i dogmi e farli cantare (Alda Merini)
"Bisognerebbe prendere i dogmi e farli cantare" - Alda Merini -
Festa della Trinità. - Don Marco Campedelli -
Non c’è una cosa così distante e nello stesso tempo non c’è una cosa così vicina. Così distante perché la Trinità sembra un mistero insondabile, forse lo è, irraggiungibile. Così vicina perché fa parte di noi, perché nella Trinità c’è anche la nostra umanità, la nostra vita. Sappiamo che il dogma della Trinità è stato definito nei primi concili, nel quarto e quinto secolo. Così lo diciamo nel Credo Niceno Costantinopolitano: Dio è uno, ma sono tre persone. In realtà per molto tempo il Cristianesimo si è occupato di riflettere sulla Trinità come problema della Trinità in sé, e molti studiosi hanno parlato delle processioni interne fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, pagine complicate ...
Credo che sia anche il segno dei una presunzione di voler spiegare tutto ma di non arrendersi al mistero; E' come se smontando un orologio pensassimo di trovare il mistero del tempo. Mentre, smontando un orologio ci troveremo molti ingranaggi ma non il tempo. Non siamo in grado di dire cos’è il tempo. Agostino diceva, se qualcuno non me lo domanda so cos’è ma se qualcuno me lo chiede non lo so più. E Dio non si più spiegare Si può rintracciare, seguire, si può intravvedere, si può sentire. Credo che ci sia un'altra strada, non quella di conoscere la Trinità in sé, ma la Trinità rivolta verso di noi. La Trinità che si mostra, che si comunica. E questa è la storia della Bibbia, tutta la Bibbia è, in fondo, un grande racconto che parla della Trinità: del Padre che si prende cura del suo popolo, del Figlio che assume la nostra umanità e la porta a compimento come una umanità autentica, e dello Spirito Santo che come un’energia attraversa la terra e la fa germogliare. Nella Bibbia non c’è nessuna definizione di Dio, ma un racconto su Dio. Ed è in questo racconto di Dio che noi possiamo vedere affacciarsi Dio come Padre, Gesu' come Figlio, e Dio come Spirito santo. Dobbiamo essere molto grati ai Protestanti, nei cinquecento anni dalla Riforma, che ci hanno aiutato a riscoprire la Bibbia per vedere e ascoltare la Bibbia come l’unico modo attraverso il quale riscoprire il racconto di Dio. Dunque la Trinità in sé e la Trinità rivolta a noi. Scegliamo la seconda strada.
Poi c’è un altro aspetto: noi siamo nella Trinità, ma la Trinità è in noi. Sembrano due affermazioni lontane ma sono complementari. Cosa vuol dire “noi siamo nella Trinità”? Un nostro professore, uno dei più acuti, dei più importanti che hanno fondato un pensiero teologico nella nostra città, don Serio De Guidi, in sesta teologia, quando studiavamo il mistero del Dio vivente, diceva, cito a memoria perché me la sono imparata per sempre questa sua espressione: “se io penso che Cristo è venuto nel mondo, ha camminato in mezzo al mondo, con la sua umanità e poi è tornato nel cuore del Padre, ciò significa che Dio da quel momento non cesserà mai più di essere umano”. Ecco cosa vuol dire “noi nella Trinità”, che dentro la Trinità c’è la nostra umanità, l’umanità di Gesù di Nazareth, e che da quel momento Dio non cesserà mai più di essere umano, cioè che Dio conoscerà il peso delle nostre lacrime, la fragranza del pane, che Dio conoscerà il desiderio delle stelle, ma anche il desiderio dell’amore, che a Dio non sarà estranea nessuna parola e nessuna esperienza umana. Ecco perché Mario Luzi si domanda, nella Via Crucis del 1999, perché Cristo non si fosse incarnato nei daini, nei cervi, o negli alberi o nelle foreste, perché ha voluto incarnarsi nell’uomo, nella donna, nel bambino? Non poteva trovare il modo di incarnarsi in esseri ancora più belli, come un’aquila o una fiera della foresta, perché ha voluto incarnarsi in questo scandalo così perfetto e così fragile dell’umanità?
Ecco, dunque, noi nella Trinità, dentro il mistero della Trinità c’è il mistero della nostra umanità, garanzia per cui Dio conoscerà sempre il nostro dramma e la nostra speranza.
Ma c’è anche la Trinità in noi, perché noi siamo fatti a immagine di questa Trinità. Ciò significa che noi umanamente abbiamo una struttura dialogica, una struttura di comunione, che per quanto orsi noi siamo, questa nostra “orsità” è contro la nostra natura umana, siamo destinati a essere uomini e donne conviviali, uomini e donne della relazione, della comunione, per quanto sia difficile la relazione e la comunione. E quindi potremmo dire che la Trinità è in noi perché noi siamo stati fatti a immagine di questa dimensione relazionale, cioè uomini e donne dialogici. E nella costruzione del mondo c’è questo mistero della Trinità, cioè il mondo è fatto per essere un mondo che si parla, che dialoga, che cerca insieme, che costruisce insieme, e quindi potremmo dire, senza voler battezzare il mondo, che il mondo ha i segni della trinità proprio perché è destinato alla comunione, alla fraternità universale, alla convivialità, come la chiamava Tonino Bello. Quindi un mondo conviviale, trinitario. Anche le religioni, le chiese sono destinate a riscoprire il se stesse questa dimensione originaria della convivialita'. Tante volte noi diciamo che la comunità è immagine della Trinità; qualche teologo ha elaborato un bellissimo pensiero su questo: Leonardo Boff, ad esempio. Però è troppo facile dire la Comunità è immagine della Trinità. La comunità ha in sé il dinamismo della Trinità. E sarebbe bello se noi riuscissimo davvero scoprirlo. Sarebbe veramente stupendo pensare di vivere la comunità come un frutto della Trinità. Ma non può essere soltanto dichiarato, dev’essere vissuto, verificato, sofferto, non perché si vuole frustrarsi la vita, perché non c’è nessuna vera comunione che non passi anche dalla fatica. . Il vangelo ci rivela un monoteismo conviviale. Non so se è teologicamente sia corretto, ma a me pare bello pensare un monoteismo conviviale. Monoteismo vuol dire credere in un Dio solo, però sappiamo che spesso i monoteismi sono all’origine di grandi conflitti culturali, politici, economici, perché quando io difendo un Dio che e' unico, vuol dire in qualche modo che il Dio dell’altro mi è nemico. Quindi, il monoteismo in sé
contiene anche un elemento di esclusione: se esiste un Dio che è mio, non è il tuo. Allora, se è vero che la storia delle religioni ha oggi recuperato una dimensione sinfonica di Dio, l’ebraismo, l’islamismo nella tradizione il Sufi... Il cristianesimo mantiene questa dimensione straordinaria di un monoteismo conviviale. Un Dio che è relazione, ne dice la differenza non come elemento di esclusione, ma come elemento di comunione, di relazione. Credo che questo monoteismo conviviale potrebbe essere profezia per l'oggi, motore di pace, di non violenza. E alla fine, questo Dio che è comunione, custodisce la differenza.
Credo che questa sia una cosa commovente: pensare che Dio custodisca dentro di sé la differenza come un valore non rinunciabile. Provate a pensare quanto le differenze ci fanno paura: le differenze di vario tipo, la differenza sessuale, dico sessuale perché tutti sono d’accordo ad esempio che un omosessuale ha la stessa dignità di un altro, ma se tuo figlio viene a casa e ti dice che è omosessuale, cominci a fare fatica ad ospitare la differenza .. Tutti sono d’accordo nel dire che dobbiamo essere fratelli, però se hai una badante rumena in casa cominci a pensare che la tua tradizione è certamente più avanti della sua. E quindi, alla fine dei conti, le differenze che anche noi spesso sottolineiamo come positive alla prova dei fatti non diventano spesso una occasione importante per crescere, non le custodiamo, spesso le fuggiamo. Avere invece un Dio che garantisce le differenze vuol dire scoprire che la differenza è un elemento di vita, che è un elemento che "fa la differenza", che è un elemento da custodire, perché dentro le differenze è scritta anche la storia di ciascuno di noi, la storia di ogni donna e di ogni uomo nel mondo. Un Dio che spesso e' stato presentato come Dio della omologazione : noi tutti belli cristiani, a tutte le funzioni, tutti d’accordo, tutti che votano la stessa cosa, tutti dalla stessa parte, finalmente possiamo diventare a uomini e donne che nel Vangelo scoprono il valore della convivialità, del dialogo, del confronto.
La Festa della Trinità è la festa delle differenze.
Ho incontrato una versione diversa della trinità di Rublev: nel monastero in cui e' stato priore Marcelo Barros in Goias ( Brasile)
Non i tre angeli dell'iconografo russo : ma tre volti : il padre l'indio, il figlio il negro, lo spirito santo una donna gravida. I più esclusi sono il volto plurale di Dio.
E se rimane un mistero insondabile la Trinità, questa versione mi sembra una di quelle che raccontano più da vicino il mistero di Dio, quanto meno il mistero di Dio rivolto verso di noi...
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