Sapore di pane
SAPORE DI PANE
«Del mare e della terra faremo pane, coltiveremo a grano la terra e i pianeti, il pane di ogni bocca, di ogni uomo, ogni giorno arriverà perché andammo a seminarlo e a produrlo non per un uomo ma per tutti, il pane, il pane per tutti i popoli e con esso ciò che ha forma e sapore di pane divideremo: la terra, la bellezza, l’amore, tutto questo ha sapore di pane».
Pablo Neruda
UNA SERENA SETTIMANA
donrobertodonmarco
OMELIA - CORPUS DOMINI - 18 GIUGNO 2017 – ANNO A
In quel tempo, Gesù disse alla folla: 51 “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. 52 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. 53 Gesù disse loro: “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”. - Giovanni 6,51-58
Qual è il significato dell’Eucarestia? Che cosa vuol dire “fare Eucarestia”?
L’evangelista Giovanni risponde a queste domande attraverso il famoso racconto della “moltiplicazione dei pani”.
L’Eucarestia, ci dice Giovanni, è il miracolo della condivisione.
E “fare Eucarestia” per Giovanni vuol dire imparare a “rendere grazie” per diventare anche noi pane per gli altri.
Qual è stato il vero miracolo della moltiplicazione dei pani?
«…date voi loro da mangiare…»
Avevano soltanto “cinque pani e due pesci”. Eppure tutti “ne mangiarono a sazietà”. Anzi ne avanzarono.
Il vero miracolo è stato il “condividere il poco che avevano”.
Di fronte alla necessità, Gesù ha invitato i discepoli a rendersi responsabili.
Ha istituito il ministero del “prendersi cura”.
La vocazione del cristiano non è quella di “possedere”, ma quella di “distribuire”.
Al diritto del possesso corrisponde il dovere del distribuire.
E’ nel condividere che posso fare una vera esperienza di Dio.
«Io sono il pane della vita»
Così si è definito Gesù.
Se qualcuno ci chiedesse: qual è il simbolo dei cristiani?
Credo che senza esitazione tutti risponderemmo: la croce. Anticamente non era così.
Nei primi secoli il segno-simbolo dei cristiani era il “pane”.
Infatti che cosa ci raccontano gli Atti degli Apostoli?
Le prime comunità si ritrovavano la Domenica nelle case per “spezzare il pane”.
E’ stato durante gli anni della persecuzione che i cristiani un po’ alla volta al simbolo del pane hanno sostituito quello della croce.
Quali sono state le conseguenze della centralità della croce?
La centralità della croce, un simbolo più di morte che di vita, ha portato ad accentuare una spiritualità più della sofferenza e del sacrificio che della vita e dell’amore.
Anche nell’Eucarestia è stato messo in risalto più l’aspetto della memoria del sacrificio di Cristo, che quello del banchetto del pane e del vino.
Pensate quante volte, nelle varie formule della messa, viene usata la parola sacrificio. Pochissimo invece la parola banchetto.
Gesù ha fatto della “condivisione del pane e del vino” il “segno-sacramento” centrale della comunità dei suoi discepoli.
Per i popoli mediterranei, il pane e il vino sono i due elementi essenziali della vita quotidiana.
Il pane è l'alimento fondamentale per vivere, un bene prezioso necessario.
Il vino è il simbolo della festa, indica la qualità della vita, ti fa vivere con gioia, con passione.
In questo racconto per ben sette volte Gesù ripete che mangiare la sua carne fa vivere.
Gesù è come il pane: è l’elemento essenziale per vivere.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Che cosa vuol dire?
Vuol dire che la mia gioia sarà piena, la mia vita sarà una vita di risurrezione, quando anch’io come Gesù farò della mia vita un dono.
Io mangio la carne e bevo il sangue di Cristo non quando faccio della messa un rito magico, ma quando mi prendo cura di me stesso, mi prendo cura degli altri, mi prendo cura del creato.
Quando anch’io come Gesù sarò in grado di dire agli altri: “prendete e mangiate”, potrò fare esperienza di che cosa vuol dire fare della vita una continua eucarestia.
Gesù ci ha insegnato che “condividere il pane” è condividere la vita.
Per Gesù il “Padre nostro” e il “pane nostro” sono inscindibili:
Ogni pane che offro ad un affamato lo offro a Gesù stesso… (avevo fame…e mi hai dato … ero malato … e sei venuto a visitarmi, Mt. 25,39).
Non possiamo qui in chiesa dire “Padre nostro”, e chiedere “dacci il nostro pane quotidiano” e poi uscire e rientrare nella cultura del “mio”: la mia casa, la mia macchina, i miei soldi, la mia città, la mia patria…
La logica del “mio” è la negazione del fare Eucarestia.
Nel 1965 il vescovo brasiliano dei poveri Helder Camara il giorno del Corpus Domini, prima di uscire dalla chiesa per la processione ha detto:
“Mi sento male nell’uscire per strada portando il Pane dell’Eucarestia depositato in un ostensorio dorato, sapendo che allo stesso tempo il Corpo di Cristo è ignorato e maltrattato nelle persone povere che giacciono sui marciapiedi, nei bambini di strada…”.
Anche noi qualche volta rischiamo di fare della Messa una bella cerimonia religiosa. Quando veniamo qui ad “adorare l’ostia consacrata” e ci dimentichiamo dei poveri cristi ammalati, soli, emarginati, tradiamo il senso profondo della Cena del Signore.
Che cosa vuol dire allora, per noi oggi, venire a celebrare l’Eucarestia?
Vuol dire: entrare qui in chiesa, ogni domenica, come mendicanti della Parola e del pane di Cristo ed uscire per diventare noi, nella vita, un “pezzo di pane”, per le persone che incontreremo.